COMPORTAMENTO

Cosa sappiamo sulla disfunzione cognitiva nei gatti

La disfunzione cognitiva è un disturbo comune nei gatti con l'avanzare dell'età. Nonostante la diagnosi e il trattamento necessitino di ulteriori approfondimenti, alcuni semplici accorgimenti possono migliorare la qualità della vita dei felini.

Pubblicato il
, diRedazione

La disfunzione cognitiva colpisce anche i gatti. Come per l’uomo, l’età è uno dei principali fattori di rischio e ad oggi non ci sono ancora terapie risolutive, ma solo interventi palliativi o mirati a favorire il benessere generale dell’animale. 

La diagnosi è altrettanto complessa considerando l’eterogeneità dei sintomi e l’impossibilità di comunicare. La neuropatologia ha inoltre mostrato notevoli analogie con quella umana in presenza di Alzheimer, suggerendo la possibilità di usare questi felini anche come modello studio. 

Lo riassume la revisione condotta da Lorena Sordo e Danièlle A. Gunn-Moore dell’University of Edinburgh pubblicata su Veterinary Records

Con l’età aumenta il rischio di patologie neurologiche

I progressi della medicina, anche in campo veterinario, hanno permesso di allungare l’aspettativa di vita media dei gatti che, ad oggi, si aggira attorno ai 14 anni. Con il passare degli anni però aumenta fra le altre anche il rischio di patologie neurologiche con declino cognitivo (demenza), motorio e fisico. A farne il punto è questa revisione della quale sono di seguito riportati i riscontri principali.

Il cambio di comportamento è il primo che si può notare, anche se spesso scambiato per tipici segni dell’età. Circa il 28% dei gatti tra gli 11 e 14 anni è però interessato da sindrome di disfunzione cognitiva (CDS), percentuale che aumenta al 50% in quelli più anziani. I principali segni di CDS nei gatti sono:

  • Disorientamento
  • Alterata interazione con l’uomo o altri animali
  • Alterazione nel ciclo del sonno
  • Restare molto tempo sdraiato
  • Alterazione nei livelli di attività
  • Ansia
  • Alterata capacità di apprendimento e memoria
  • Aumentata vocalizzazione soprattutto di notte

Il declino cognitivo è forse il più difficile da comprovare e per il quale, ad oggi, ci si basa principalmente su un test neuropsicologico visivo riadattato da quello in uso per i cani. La diagnosi di CDS si basa di fatto sull’approccio differenziale escludendo altre cause per i cambiamenti di comportamento (dolore, patologie croniche, infezioni, neoplasie, infiammazione ecc.).

Ancora tante ombre sulle cause

Le cause esatte rimangono però ancora incerte, nonostante numerose alterazioni nel cervello sembrerebbero essere coinvolte compromettendo il flusso cerebrovascolare. In questo modo, oltre all’ossigenazione, viene ad essere alterato in maniera più accentuata anche il normale equilibrio tra la produzione e rimozione di radicali liberi con conseguente danno ossidativo. A ciò si aggiungono poi disturbi cardiovascolari, ipertensione, anemia, alterata viscosità ematica con aumento di ipossia neuronale. 

I cambiamenti che avvengono nel cervello dei gatti con CDS sono però risultati analoghi con quelli di soggetti affetti da demenza. Tra i principali troviamo:

  • Atrofia cerebrale e perdita neuronale, nel nucleo caudale in particolare
  • Deposito di beta-amiloide con conseguente formazione di placca e tossicità neuronale. Tale stato si verifica solitamente dopo i 10 anni d’età e in maniera più diffusa rispetto all’uomo e in sede intracellulare anziché extracellulare come nell’Alzheimer
  • Iperproduzione della proteina tau e di numerose sue isoforme
  • Alterazione del microcircolo con emorragie, infarti, angiopatie

Come anticipato, non esiste ad oggi una cura per il declino cognitivo. Tuttavia, con un’adeguata gestione della malattia si può ridurne significativamente l’impatto clinico, aumentando di contro la qualità di vita dell’esemplare (e del proprietario). I principali interventi messi in atto sono:

  • Adattamenti nell’ambiente di vita sin dai primi anni in modo da prevenirne e/o ritardarne il declino. Utili sono infatti giochi per aumentarne l’attività motoria, l’esplorazione o la caccia oltre che escogitare nuove strategie per la conquista del cibo (per i giovani; negli anziani potrebbe peggiorarne solo le condizioni fisiche e aumentarne l’ansia). In presenza di CDS invece, alcuni accorgimenti importanti potrebbero essere il disporre il cibo e acqua nello stesso posto (facilmente accessibile), lasciare una luce accesa alla notte per diminuire il senso di smarrimento o una radio per farlo sentire in compagnia. Anche una routine sembrerebbe aiutare nella gestione dell’ansia
  • Supplementi dietetici con aminoacidi essenziali e composti utili per le funzionalità cerebrali (S-adenosil-L-metionina, omega-3, vitamina E, L-carnitina ad esempio) o per il rilassamento (melatonina o ferormoni, olii essenziali o erbe)
  • Diete specifiche con un ricco apporto di frutta, verdura, noci, cereali, vitamine C, E e B12 hanno mostrato un potenziale aiuto nel ritardare lo sviluppo di demenza nell’uomo. Nessun piano specifico è stato però ad oggi proposto per i gatti, nonostante qualche dieta commerciale ricca in olii di pesce, antiossidanti e altri supplementi quali amminoacidi e vitamine abbia dimostrato effetti positivi nell’aumentare longevità e attività cerebrale o riducendo l’ansia 
  • Nonostante ci siano farmaci per contrastare i segni clinici di CDS nei cani (selegilina e propentofillina ad esempio) il loro uso non è stato approvato per i gatti, nei quali si ricorre ad altri palliativi quali antidepressivi/calmanti

Conclusioni

Per concludere dunque, il declino cognitivo nei gatti è cosa abbastanza comune, soprattutto con l’avanzare dell’età. 

La diagnosi nonché il suo trattamento rimangono però ancora punti critici e in attesa di ulteriori studi e strategie cliniche. Accorgimenti utili da parte dei padroni quali un ambiente di vita accogliente e familiare o supplementi dietetici potrebbero però migliorarne la qualità di vita.

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