Pubblicato sulla rivista Frontiers in Veterinary Science uno studio statunitense prospettico di coorte, che rappresenta il primo lavoro che quantifica l’indice di disbiosi in questi casi.
Nel cane la causa più comune di encefalopatia epatica è riconducibile alla presenza di uno shunt porto-sistemico congenito, cioè a un’anomalia presente fin dalla nascita in cui uno o più vasi convogliano direttamente nella circolazione sistemica il flusso ematico proveniente dall’intestino, senza passare attraverso il filtro rappresentato dal parenchima epatico. Quando possibile, nell’intento di favorire il flusso ematico portale e migliorare la funzione epatica, l’intervento chirurgico è il trattamento d’elezione. In termini di terapia medica, l’approccio ha lo scopo di ridurre la produzione e l’assorbimento di tossine a livello enterico e prevede il ricorso a una dieta ipoproteica e la somministrazione di lattulosio, antibiotici, anticonvulsivanti, probiotici.
Va precisato che, nell’uomo, il nesso tra il microbiota intestinale, le epatopatie croniche e l’encefalopatia epatica è stato al centro di numerosi studi che hanno fatto emergere il ruolo primario svolto dall’ammoniaca prodotta dalla degradazione degli aminoacidi e hanno messo in luce differenze significative nella composizione della microflora intestinale che potrebbero alimentare i sintomi, per esempio alterando la funzione di barriera o tramite un aumento dei batteri produttori di ureasi. Tanto da ipotizzare che la manipolazione del microbiota intestinale possa migliorare la gestione di questi pazienti.
Per il cane i dati sono ancora da considerare “in progress”, ma tutto lascia pensare che il trattamento medico degli shunt porto-sistemici – in genere a lungo termine – possa interferire con la composizione del microbiota, determinando una disbiosi protratta, con tutto ciò che questo comporta sulle condizioni dell’animale. A verificare questa ipotesi è stato uno studio statunitense prospettico di coorte , pubblicato sulla rivista “Frontiers in Veterinary Science.
La disbiosi è tanto frequente quanto significativa
Il lavoro americano ha coinvolto 27 cani (età media 10 mesi, peso medio 4,9 kg): tutti erano sottoposti a dieta ipoproteica e a lattulosio, 22 ad antibiotici, 7 ad acido-soppressori, 3 ad anticonvulsivanti, 2 a probiotici; 22 erano stati sottoposti ad attenuazione chirurgica degli shunt porto-sistemici. L’indice di disbiosi e l’assetto del microbiota sono stati valutati tramite real-time qPCR. Dalla valutazione è emerso che il 63% presentava un indice di disbiosi >2 – il cutoff per poter parlare di disbiosi nel cane – con la media complessiva che è risultata di 3,02 (range 4,23–8,42), ma negli animali sottoposti a trattamento antibiotico è stata di 4,3 (range −4,23–8,42) contro una media di 1,52 (range −1,62–5,43) in quelli senza antibiotici (p = 0,58).
L’obiettivo futuro è di ottimizzare l’approccio
Quello statunitense è il primo studio a quantificare l’indice di disbiosi in una coorte di cani con diagnosi di shunt porto-sistemico congenito e attesta che la disbiosi appare decisamente frequente e significativa, nonostante non sembri influenzare la sintomatologia clinica. Come sottolineano gli autori, si tratta comunque di uno studio pilota che deve aprire a ulteriori approfondimenti in grado di caratterizzare in modo più approfondito il microbiota di questi animali e di individuare nel dettaglio il ruolo dei vari trattamenti, chirurgia compresa, sulle alterazioni della microflora. Dai risultati dei futuribili studi prospettici e controllati potrebbero infatti scaturire indicazioni preziose per ottimizzare l’approccio al problema.
Reference
Squire N, Lux C, Tolbert K, Lidbury J, Sun X, Suchodolski JS. Characterization of the Fecal Microbiome in Dogs Receiving Medical Management for Congenital Portosystemic Shunts. Front Vet Sci. 2022;9:897760. Published 2022 Jul 28. doi:10.3389/fvets.2022.897760